Paesaggi urbani tra staticismo e dinamismo

 


Per l’architettura in Italia attualmente è necessario fermezza decisionale che negli attuali protagonisti sia istituzionali che committenti decisamente manca.

Nelle nuove zone di espansione delle nostre città nel novecento per risolvere la crisi dell’alloggio post guerra e post emigrazione operaia è stata immessa un’ennesima quantità di architetture di bassa qualità lasciando irrisolti i soliti nodi delle espansioni.

Nelle periferie attuali si è evidenziato il problema dei recuperi urbani insieme alla creazione di servizi alla cittadinanza non ancora disponibili.

I progettisti sovente preferiscono ingabbiarsi in superate discussioni pur di non affrontare talvolta le reali richieste della società o preferiscono non decidere sul percorso di sviluppo da affrontare per alcune delle questioni principali pur di non deludere le schiere di sostenitori che nel tempo hanno accumulato.



Nella nostra società che ha secoli di storia, i progettisti preferiscono parlare della noiosa discussione accademica come l’identità dell’architettura italiana piuttosto che di stili moderni.

Questo non è identità ma staticismo sia quando queste discussioni hanno la finalità di far rinsorgere vecchi progettisti che hanno contribuito agli stili architettonici passati sia quando si pensa ad un revival stilistico di architetture del passato recente non più necessari alla società corrente.

I romani che erano dei conquistatori non si opposero all’influenza della cultura greca come dunque oggi si può parlare di identità dell’architettura italiana senza pensare che la nostra architettura ha necessità di una interazione ed un’integrazione con il territorio e la società che la circonda in una ottica di globalizzazione.

Spesso sentiamo invocare un’identità territoriale che è inesistente anche nell’architettura del novecento.

Gli abitanti dei Sassi di Matera, quelli di Mesa Verde in Colorado, quelli di Shibam nello Yemen possono parlare di identità territoriale, le loro architetture sono inscindibili dal territorio ma gli abitanti delle odierne città vedono solo l’identità del centro storico e non l’identità di molti quartieri in perferia dove non c’è integrazione od interazione con il resto della città.


Niemeyer con Brasilia ha avuto una grande fortuna, ha potuto progettare una città nuova imponendo punti fissi e assi nello sviluppo della città, una occasione non possibile per chi progetta quartieri in città con centri storici.

Un centro storico è sicuramente un buon contenitore culturale, ma ammodernare un paese è una cosa diversa, la radice o origine della città sono le basi per fare qualcosa di nuovo dove il cittadino con le sue necessità è il cardine dello sviluppo.

Le domande sono tante sul futuro dell’architettura.

Vedremo ancora utopie che potrebbero diventare degrado abitativo?

Il passato ha insegnato qualcosa o vedremo la critica architettonica contendersi nuove discussioni?

Non sarebbe meglio parlare ora dei nuovi quartieri prima che diventino la nuova periferia?


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