L’architettura non è una mera rappresentazione, né della società né
tanto meno delle tendenze estetiche del momento, ma fa uso della
rappresentazione per farsi comprendere, nell’interpretazione che fa
delle necessità della società a cui appartiene. Non è un assemblaggio di
immagini atte a vendere un prodotto, ma usa le immagini per farsi
codificare dallo spettatore, sia esso il committente sia esso il
fruitore. Essa è un’interpretazione aggregata di spazi, percorsi e
funzioni, connessi tra loro in modo da generare volumi e forme, non
fini a se stesse, ma in un complesso disegno di colori, luci ed ombre.
Nella critica architettonica non può dunque esserci un’ennesima interpretazione, non avrebbe senso. Essa deve essere giudizio analitico,
su come il progettista abbia operato tenendo conto delle esigenze
sociali e culturali del momento, non può dunque limitarsi ad elencare le
scelte del progettista, da quelle tecniche a quelle estetiche, senza
dire quanto il progetto nel complesso sia in simbiotica armonia con la contemporaneità.
La critica deve rappresentare il punto percettivo del fruitore
dell’opera, che se anche si interroga sulle modalità realizzative e
costruttive, si pone con occhio curioso come indagatore della
spazialità, delle forme e dei colori.
L’architettura non può essere definita bella o brutta senza avere la
coerenza di proporre un termine di paragone, un termine di paragone che
non è il comune senso dell’estetica, forse sarebbe più giusto dire se
un’architettura è riuscita o non riuscita nell’essere opera
architettonica.
Parlare di progetto spesso porta ad identificarlo con il progettista,
sarebbe più logico parlare di intervento progettuale perché porterebbe
l’accento sul complesso dell’intervento e non sull’opera in sé, che
anche se firmata da un nome altisonante non sempre risulta un intervento
valido. Una pianta ed un prospetto non avrebbero senso se non fossero
viste in un’ottica aggregata di volumi, un edificio non ha senso
isolatamente, ma solo nella complessità del luogo che lo accoglie.
Fare critica su un’architettura del passato risulta sicuramente più
facile di quella attuale, le architetture del passato spesso venivano
realizzate su assi e simmetrie, oggi, l’architettura tende ad annullare
il discorso assiale e simmetrico proponendo un intreccio di assi e
l’asimmetria come linguaggio, ma il nocciolo della questione
architettonica è sempre lo stesso: lo spazio e la sua percezione in
termini di fruizione ed impatto estetico-visivo.
La difficoltà a decifrare il linguaggio architettonico attuale fa spesso
interpretare le architetture in termini più tecnici, o all’opposto
poetici, senza parlare di qual è il rapporto dell’architettura con
l’uomo, la società e l’ambiente.
Le scelte progettuali non sono solo scelte dettate da tecnicismi ma
hanno afferenza con la cultura propria del progettista, e come la
cultura in ognuno di noi accresce e muta il nostro pensiero in un
percorso di maturazione, anche per il progettista l’evoluzione è un
continuo ciclo di autocritica, revisione e ricostruzione della sua
architettura, egli interpreta ciò che la società richiede per il suo
vivere quotidiano dalle esigenze più comuni a quelle più colte in un
percorso di maturità personale e di maturità della società.
La storia, le tecnologie, l’ambiente, l’essere uomo, la società in cui
vive e le regole che la fanno comunità civile, scandiscono non solo i
processi di maturazione del pensiero dell’uomo ma anche il suo rapporto
con l’architettura e l’urbanistica, e questo il progettista, ma anche il
critico, non possono dimenticarlo.
L’architettura è interazione ed integrazione di un edificio con il luogo
in cui viene realizzato; è interazione ed integrazione dell’uomo con
l’edificio, e dell’uomo con l’ambiente; è interazione ed integrazione
dell’individuo con la società; quando tutto questo non c’è non si può
spostare l’interesse alla tecnica e all’estetismo che se anche siano
interessanti fanno dell’architettura un’arte fine a se stessa e a chi
l’ha progettata. Tanto più un progettista è capace di far interagire
un’opera con tutto il resto, tanto più si potrà considerare l’opera
riuscita.
Se lo stesso problema viene poi posto in una scala urbana, più ampia del
singolo intervento progettuale, ci si accorge come spesso tutto questo
sia sentito ma disatteso, così che, non c’è da meravigliarsi che l’uomo
non riesca a ri-appropriarsi dei luoghi in cui vive e li senta estranei.
Scritto inedito presentato al Premio PresS/Tletter di critica d'architettura (I edizione - 2007)
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